26 agosto 2022 - 09:08

Siccità del Po, è allarme per le anguille: «Sempre meno riescono a risalirlo per riprodursi»

Il professore Mattia Lanzoni, tra i protagonisti del progetto «Liffe-Natura Lifeel»
«La maggior parte di esemplari è rimasta nelle zone costiere, sempre meno anche i rifugi naturali contro i loro predatori. Occorrono monitoraggio e interventi strutturali»

di Federica Nannetti

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Studiare per salvarla, far comprendere il suo valore e la sua tradizione, ancor più con una siccità e un cuneo salino a modificare le sue possibilità di colonizzazione e il suo habitat: già da tempo l’anguilla europea è tra le specie a rischio critico di estinzione secondo le liste dell’Iucn (l’unione mondiale per la conservazione della natura), con una perdita di popolazione di oltre il 90% negli ultimi trent’anni. È in questo contesto che, sebbene non sia una condizione del tutto nuova nel bacino del fiume Po, è andata aggiungendosi una siccità dai connotati storici, temperature elevate con scarsità di pioggia già a partire dai mesi invernali e un cuneo salino a toccare nelle settimane scorse quasi i 40 chilometri. Condizioni che inevitabilmente hanno provocato un cambiamento strutturale del fiume e hanno avuto ripercussioni in quel ciclo biologico delle anguille tanto particolare e geograficamente ampio da portarle a riprodursi fino al Mar dei Sargassi (tra le Antille e le Azzorre).

Le preoccupazioni per il futuro

Per questo le preoccupazioni, le cui radici affondano già negli anni scorsi e nel limitato stock di popolazione italiana, riguardano tanto il presente quanto i prossimi anni, potenzialmente validi per la riproduzione di quegli esemplari attualmente nel Mediterraneo e nel bacino del Po.

Il progetto Life-Natura

Mattia Lanzoni
Mattia Lanzoni

A sottolineare l’importanza del monitoraggio e delle azioni di sensibilizzazione nei confronti di una specie sotto i riflettori anche della pesca illegale è il professore del dipartimento di Scienze dell’ambiente e della prevenzione dell’Università di Ferrara, Mattia Lanzoni, nonché tra i protagonisti del progetto Life-Natura Lifeel (finanziato quasi al 60% dalla Comunità Europea grazie ai fondi del programma Life-Nature). Quest’ultimo, i cui partner vanno dalle università agli enti pubblici dell’Emilia-Romagna, della Lombardia, del Veneto ma anche della Grecia, ha come obiettivo generale la conservazione dell’anguilla e del patrimonio di biodiversità dei territori interessati, cercando di riaprire le rotte di migrazione, di salvaguardare i soggetti adulti potenziali riproduttori e di regolare il prelievo di pesca esercitato per alimentare il settore dell’anguillicoltura.
Professore, come e quanto stanno incidendo le condizioni climatiche sulla salute delle anguille nel bacino del fiume Po e sulla biodiversità dell’area?
«La situazione di criticità legata al periodo siccitoso e alle alte temperature che stiamo attraversando ha influito su diversi fronti e in maniera altalenante: le portate si sono ridotte tantissimo, portando a un cambiamento dell’ecosistema fluviale specialmente nella parte terminale del fiume Po, che di solito si attesta tra i cinque e i sette chilometri dalla foce con caratteristiche marine. Queste stesse caratteristiche si sono riconosciute quest’anno anche a 20 chilometri dalla foce, le quali hanno portato a un cambiamento anche delle comunità, sia animali sia vegetali. Per quanto riguarda in particolare i pesci, dunque anche le anguille, i risvolti si sono avuti principalmente a livello spaziale: questo significa uno spostamento inevitabile delle specie d’acqua dolce molto più a monte. L’anguilla, data la sua tipica migrazione e la sua colonizzazione delle zone in questione in determinati periodi dell’anno, ne ha risentito in modo maggiore e per due motivi principali: nel periodo tardo invernale e primaverile, dunque tra marzo e aprile con strascichi anche fino a giugno, l’anguilla risente della “chiamata” delle acque dolci che arrivano al mare per poi colonizzare gli ambienti d’acqua dolce come fase del ciclo biologico della loro vita. Il delta del Po ha un potente effetto di chiamata, il più importate del Paese e d’Europa. L’assenza di precipitazioni, le portate bassissime e un ambiente dai tratti marini caratterizzante una vasta parte del tratto finale del fiume, hanno reso la risalita ancor più bassa e difficile rispetto agli anni scorsi».
La risalita del fiume è una tappa importante nella crescita dei giovanili per arrivare successivamente a essere buoni riproduttori. Questo significa che si è intaccato anche questo processo?
«Gli esemplari giovanili non sono riusciti a risalire verso monte, perché è venuta a mancare la “chiamata chimica”: pochissimi sono quelli che sono riusciti a proseguire nel loro percorso di crescita e di risalita del fiume. La maggior parte è rimasta nelle zone costiere, con un cambiamento forzato del proprio ciclo biologico. Questo vuol dire anche una ripercussione sul numero di colonizzatori delle aree fluviali e gli ambienti d’acqua dolce, dunque un maggiore stress nel loro ciclo biologico e di migrazione».
Ha accennato prima anche a un secondo effetto: di cosa si tratta?
«Di un cambiamento strutturale del fiume. Avendo avuto livelli così bassi per un così prolungato periodo, la biodiversità e i micro-ecosistemi aumentano in virtù nuovi spazi adatti da frequentare. Per l’anguilla il problema è legato agli ambienti da colonizzare, importanti soprattutto come rifugi o per l’alimentazione: ne sono un esempio le massicciate, le parti di golene più laterali e trasversali al fiume. Ambienti che rimangono asciutti, impedendo di trovare sistemi strutturali del fiume indispensabili per alimentarsi o mettersi al riparo dai predatori. Questi ultimi acquistano di conseguenza una maggior capacità di predazione ai danni delle anguille, concentrate in alcuni altri punti; uno su tutti una specie invasiva come il siluro».
Si può dunque dire che le ripercussioni sulle altre specie siano un po’ più contenute?
«Può sembrare un paradosso ma queste nuove condizioni e tali ambienti potrebbero rivelarsi favorevoli per altre specie, come per esempio le carpe o i pesci bianchi. In alcuni casi i bassi livelli potrebbero creare condizioni migliori, o meglio, diversità di habitat adatti all’aumento dei giovanili. Non risentono quasi per niente di tali mutamenti le specie di transizione, d’acqua salmastra, che possono spostarsi tranquillamente dall’acqua dolce all’acqua salata e che sono abituati ai cambiamenti di salinità. Tutti potrebbero però essere toccati dal problema delle alte temperature, sebbene in un fiume questa condizione sia più difficile: la bassa velocità di corrente e le temperature elevate portano a un elevato consumo di ossigeno, con conseguenze sulle specie di fondale a bassa mobilità. Tuttavia sono anche quelle dal maggior potenziale di ricolonizzazione dell’ambiente».
Tra gli obiettivi del progetto LIFE-Natura LIFEEL vi è anche l’individuazione dei migliori riproduttori: le condizioni climatiche di questo 2022 hanno avuto un impatto su queste procedure?
«I risultati di questa missione si avranno in autunno, verso ottobre, periodo corrispondente, bene o male, all’avvio della migrazione dei riproduttori. Probabilmente l’impatto sarà limitato. Potrebbe forse aver influito sulla riduzione del numero dei riproduttori l’ipersalinizzazione delle aree lagunari vallive. Una piccola percentuale potrebbe essere maturata troppo velocemente e partire (vero il Mar dei Sargassi, ndr) senza essere totalmente idonea. Bisogna comunque essere cauti su queste conclusioni e, se anche dovesse essere successo, si tratterebbe di una piccolissima parte. Il problema vero è il limitato stock della popolazione italiana, a prescindere dalle condizioni climatiche dell’anno; una situazione preoccupante che si vedrà nei prossimi quattro o cinque anni. Se viene a mancare la risalita dei fiumi per crescere e diventare dei migliori riproduttori, saranno sempre meno gli esemplari pronti a migrare e a riprodursi».
Tra gli ostacoli che le anguille incontrano nel loro viaggio lungo i fiumi vi sono anche tutti i sistemi e le turbine delle centrali idroelettriche. Anche di questo si sta occupando Life-Natura Lifeel: a che stadio di avanzamento è il programma?

«L’intento è quello di rendere vivibile quanto più possibile il tratto storicamente colonizzabile dall’anguilla per accrescersi, tenendo presente come siano potenzialmente in grado di risalire fino quasi alla Valle d’Aosta. L’intento è quello di creare delle scale di risalita lungo il fiume Po, dunque veri interventi strutturali che permettano di bypassare le principali dighe di interruzione del corso, da monte a valle. Solo in Emilia-Romagna ne verranno costruite sette. Analogo il discorso per la discesa verso la foce, viaggio durante il quale vi è anche l’ostacolo dato dall’ingresso nelle turbine elettriche: grazie soprattutto alla Regione Lombardia verranno installati dei dissuasori capaci di indirizzare le anguille verso la scala di discesa, evitando la centrale idroelettrica, dunque la morte. Le operazioni sono in corso, da quest’anno con azioni strutturali e concrete».
In questa situazione non può mancare, tanto in Italia quanto in Grecia dove l’impegno è speculare, un lavoro di sensibilizzazione della cittadinanza, anche pensando al mercato alimentare.

«Oltre ai problemi legati all’ambiente e al clima, a giocare forse su un buon 50% dello stock italiano, ma quindi anche europeo e mondiale, è l’eccessiva pressione di pesca sul novellame, la maggior parte della quale avviene attraverso il mercato nero, quindi con pesca di frodo. L’azione di divulgazione, di conoscenza di tutte le tematiche legate all’anguilla è la mission del progetto Life-Natura Lifeel, ovvero far capire l’importanza di una specie “comunitaria”, nel senso di patrimonio e di interesse di tutti, tanto biologico, quanto storico-culturale, ma anche economico. Sperare in un ritorno totale della consistenza della popolazione è forse eccessivo, ma sicuramente l’auspicio è di riuscire a riaprire le vie di comunicazione, a tracciare il percorso giusto, a liberare un buon quantitativo di esemplari pronto alla riproduzione, trasmettendo il tutto a ciascun portatore di interesse, a partire dalla pesca professionale e dagli enti. L’intento è di poter vedere, nel medio e lungo periodo, un ritorno, con leggera crescita, della popolazione attraverso i giusti strumenti di gestione».

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